Marketing e paura: cosa c’entrano?

La paura è un sentimento molto forte che ogni essere umano ha provato almeno una volta nella vita: blocca e irrigidisce impedendo ogni qualsivoglia movimento.

Se esiste, però, significa che è sicuramente utile alla sopravvivenza dell’essere umano.

Da una ricostruzione latina, il termine paura, deriva da pavire che significa “battere la terra”, colpire.

Quando abbiamo paura siamo effettivamente colpiti da qualcosa, dentro di noi nasce un’emozione talmente intensa da mettere in atto una serie di riflessi automatici che impediscono di farci compiere azioni rischiose o pericolose.

La paura è il nostro campanello d’allarme: attraverso l’amigdala il cervello ci mette in allerta, ci avverte, ci rende pronti per far fronte alle emergenze.

C’è un tipo di marketing che sfrutta questi sentimenti per creare campagne pubblicitarie estremamente efficaci, continua a leggere l’articolo per scoprirlo!

 

Fear Arousing Appeal: il marketing della paura

Il marketing della paura fa parte di un filone della comunicazione più ampio definito come shockvertising.

Può essere applicato con successo alle campagne pubblicitarie perchè la paura, come detto prima, è un’arma di persuasione davvero molto potente.

Si parla di Fear Arousing Appeal (appello alla paura) e di messaggi controcorrente: invece di suscitare emozioni positive, come succede nel Nostalgia Marketing ad esempio, si cerca di far emergere sentimenti di paura, ansia, terrore, panico, preoccupazione, angoscia e impotenza, tutti sentimenti negativi molto coinvolgenti.

Ci sono diverse motivazioni che portano a scegliere il marketing della paura come canale comunicativo:

  1. Può sensibilizzare le persone su temi di rilevanza sociale come ad esempio i danni del fumo, la crisi climatica, le guerre, body shaming e molto altro ancora;
  2. Può essere usato per fare Real Time Marketing nel caso in cui sia richiesto un tone of voice particolarmente serio e risflessivo;
  3. Genera un forte impulso all’acquisto: le persone tendono a prendere decisioni più rapidamente quando sono messe sotto stress;
  4. Per acquisire brand awareness ovvero per accrescere il grado di notorietà del proprio marchio, magari prendendo posizioni forti rispetto a tematiche sociali mondiali.

Per fare delle campagne efficaci utilizzando il marketing della paura bisogna tenere conto di 3 diversi fattori:

  1. Rendere la paura credibile e reale;
  2. Utilizzare la paura, senza ingigantirla, per non ottenere l’effetto opposto a quello desiderato;
  3. Proporre una soluzione allo stress che si è creato durante la campagna pubblicitaria.

Pro e contro del marketing della paura

Pro

  • Efficace nel catturare l’attenzione del consumatore ed influenzarlo nelle sue decisioni;
  • Riesce a colpire target diversi per età, cultura, background – suscita un’emozione, quella della paura, che è universale e comune a tutti;
  • Efficace nel creare conversioni – crea un senso di urgenza e spinge immediatamente all’azione che può essere ad esempio l’acquisto oppure lo smettere di fumare, oppure il fare una donazione ad un ente benefico;
  • In accordo con il principio del Loss Aversion – principio secondo il quale si è in tendenza a considerare di più una perdita piuttosto che un guadagno della stessa entità.

Contro

  • Può essere percepito come manipolativo o ingannevole;
  • Potrebbe portare alla perdita di clienti;
  • Potrebbe danneggiare la reputazione dell’azienda;
  • Potrebbe generare un effetto indesiderato: causare ansia e stress nel cliente senza portarlo all’azione desiderata.

Tre esempi di campagne che si basano sul Fear Arousing Appeal

Apple Watch 7

La recente campagna di Apple è un esempio estremamente efficace di marketing della paura.

La versione andata in onda in Italia dello spot, ambientata in una foresta sfrutta come elemento centrale l’audio. Si sente una telefonata fuoricampo: una persona è caduta, ha perso i sensi e non risponde più ai comandi del suo Apple Watch. L’orologio contatta i soccorritori in autonomia e fornisce latitudine e longitudine.

La seconda versione andata in onda risulta ancora più efficace: le immagini sono sempre semplici ma, in base all’ambientazione, ci sono voci registrate direttamente dall’Apple Watch che richiedono soccorso al 911.

Ambientazione vasta, immagini scure e musica adatta rendono il tutto ancora più reale.

Grazie allo spot, Apple è riuscita non solo a raccontare con estreme capacità di storytelling le caratteristiche tecniche dell’orologio digitale, ma ha anche fatto sì che il prodotto venisse associato immediatamente alla sicurezza: un orologio che può salvare la vita.

Save the children – La vita di una bambina 

Questo spot appartiene maggiormente al filone dello shockadvertising; si tratta di un cortometraggio del 2014, estremamente incisivo, che racconta il cambiamento radicale della vita di una bambina prima della guerra e durante la guerra in Siria. Un video di sensibilizzazione, per ricordare che se è accaduto in Siria, può accadere anche in altre parti del mondo. Suscita paura, angoscia, tristezza e ansia e spinge l’utente a riflettere.

«Questo video sta generando un momento collettivo di emozione e forte coinvolgimento sui social media. È uno strumento efficace che ci ricorda che quanto accaduto in Siria potrebbe accadere ovunque e come ognuna delle nostre vite tranquille potrebbe essere devastata dalla guerra e dalla sua inaudita violenza, esattamente come è successo a quella di tanti, troppi bambini siriani e delle loro famiglie», aveva commentato Valerio Neri, Direttore Generale di Save the Children.

In questo caso, purtroppo, gli autori del cortometraggio non hanno dovuto rendere credibile e reale la paura.

 

Penny Market: “The Rift”

Lo scorso inverno, Penny Market lancia come campagna natalizia in Germania, un cortometraggio di 4 minuti dove la protagonista, una signora che sta vivendo un periodo particolarmente difficile, si sente sopraffatta dai grandi temi mondiali che colpiscono le nostre vite ogni giorno.

Razzismo, guerre, pandemia, divisione sociale, conflitti generazionali, surriscaldamento climantico entrano dentro la sua quotidianità come crepe che le fanno crollare tutto attorno.

La campagna è una urgente chiamata al ritorno all’ascolto reciproco, al superare le barriere e ad essere maggiormente empatici.

Il cortometraggio si conclude infatti con la domanda “Can we talk?” posta da un ragazzo che poco prima aveva discusso con la protagonista stessa, un chiaro messaggio di apertura al dialogo.

 

af creative designer

Se sei interessato a promuovere la tua attività e avviare come campagna marketing rivolgiti a noi per trovare la strategia migliore da adottare in relazione ai tuoi obiettivi e insieme ti aiuteremo a raggiungerli! Contatta il nostro team!

Contattaci attraverso la mail afcreativedesigner@gmail.com oppure chiamaci al numero +39 351 6405940 | +39 351 6917569